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  • Riscatto degli anni di laurea, come funziona e quando conviene

SPECIALE RISCATTO DEGLI ANNI DI LAUREA

Riscattare la laurea: conviene o non conviene?

 

La possibilità di valorizzare ai fini pensionistici il periodo di studi universitari, torna nuovamente alla ribalta. L’occasione per riparlarne è stata recentemente fornita dall’Inps, che ha annunciato la definitiva messa al bando della carta. Dal prossimo primo aprile, infatti, la richiesta di riscatto degli anni di laurea (la cosa vale anche per gli altri tipi di riscatto) dev’essere effettuata esclusivamente per via telematica. Per valutare se ricorrere o meno al riscatto, ecco, allora, una breve guida sull’argomento.

 

Le condizioni per riscattare. Per poter effettuare il riscatto del periodo del corso legale di laurea sono necessari i seguenti requisiti:

1)  il conseguimento del titolo di studio;

2) l’assenza di copertura contributiva in relazione al periodo da riscattare;

3) non aver chiesto il riscatto presso altro ordinamento pensionistico.

Possono essere oggetto di riscatto i periodi legali per il conseguimento di:

1) diplomi universitari (corsi di durata non inferiore a due anni e non superiore a tre);

2) diplomi di laurea degli ordinamenti anteriore al 1999 (corsi di durata non inferiore a 4 e non superiori a 6) e degli ordinamenti universitari post 1999 (lauree triennali e specialistiche);

3) i diplomi di specializzazioni post laurea; dottorati di ricerca; diplomi rilasciati da istituti di alta formazione artistica e musicale.

Inoltre, se il titolo di studio ha valore legale in Italia, si può riscattare anche la laurea conseguita all’estero.
Non possono essere riscattati i periodi d’iscrizione fuori corso.
La domanda può essere inoltrata in qualsiasi momento (non è soggetta a termini di decadenza) e può riguardare anche un periodo inferiore a quello del corso legale di laurea. Il caso più frequente di riscatto parziale è quello di concomitanza tra servizio militare e frequenza universitaria. Un esempio per capire meglio. Il dottor Rossi, funzionario di banca, si è laureato in economia e commercio (4 anni). Durante gli studi ha prestato il servizio militare per dodici mesi. Dal momento che la “leva” viene accreditata figurativamente (senza alcun onere, quindi), il dottor Rossi può fare la domanda all’Inps per il riscatto di soli 3 dei 4 anni di studi universitari di economia.

Considerando che, tra laurea triennale e specialistica, il periodo di permanenza presso un’università può essere oggi di cinque anni, senza contare eventuali altri corsi o master, è di tutta evidenza che poter inserire i periodi di studio nel proprio fascicolo previdenziale rappresenta un vantaggio non trascurabile.
Quanto si spende. Il costo del riscatto varia a seconda del regime previdenziale in cui si è inquadrati. Tutto nasce dalle modifiche intervenute nel calcolo della pensione con la riforma del 1995 (legge Dini, n. 335/95). Molto sinteticamente, le attuali regole prevedono l’applicazione del tradizionale criterio di calcolo retributivo a favore di coloro che potevano vantare almeno 18 anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995 (il calcolo retributivo, riguarda ora solo l’anzianità acquisita sino al 31 dicembre 2011). Chi non aveva alcuna anzianità assicurativa al 31 dicembre 1995 (i neoassunti, per intenderci) rientra, invece, nel regime contributivo. Mentre il cosiddetto criterio “misto” (retributivo per i periodi sino al 1995 e contributivo per i successivi) si applica a coloro che, sempre al 31 dicembre 1995, potevano contare su una posizione assicurativa inferiore a 18 anni.

Di conseguenza, per determinare l’anzianità contributiva complessiva e, quindi, il diverso meccanismo di calcolo del costo del riscatto, bisogna considerare dove si collocano i periodi da recuperare. Ecco tre esempi pratici che riepilogano tutti i casi che si possono presentare e che interessano, sostanzialmente, coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 e chi ricade nel sistema misto.

1) Lavoratore assunto dal primo gennaio 1996 che riscatta un periodo collocato temporalmente in data anteriore al 31 dicembre 1995. In questo caso si applica, per il calcolo del costo del riscatto, il criterio retributivo. Mentre la pensione verrà calcolata con il sistema misto: retributivo per gli anni riscattati, perché si collocano in data anteriore al primo gennaio 1996, contributivo per l’anzianità maturata con l’effettiva attività lavorativa.

2) Lavoratore assunto dopo il 31 dicembre 1995 che riscatta per esempio quattro anni di laurea dal primo novembre 1993 al 31 ottobre 1997. La collocazione temporale della carriera universitaria comporta un doppio calcolo: l’onere di riscatto va valutato in parte con il sistema retributivo (primo novembre 1993 - 31 dicembre 1995) e in parte con quello contributivo (primo gennaio 1996 - 31 ottobre 1997).

3) Lavoratore assunto dopo il 31 dicembre 1995 che riscatta un periodo collocato temporalmente dopo il primo gennaio 1996. L’onere del riscatto, come la pensione, viene calcolato interamente con il sistema contributivo.

 

Il costo nel sistema retributivo. L’onere da sostenere, con il sistema retributivo, consiste nel versamento di una somma, definita tecnicamente riserva matematica, all’ente previdenziale per coprire l’incremento di pensione che scaturisce dal riscatto. Si tratta, in altri termini, della quantità di capitale necessaria per costituire una riserva tale da coprire il maggior onere finanziario derivante (in futuro) dall’aggiunta, nel calcolo della pensione, degli anni riscattati a quelli coperti da contribuzione obbligatoria.

Le modalità di conteggio della riserva matematica sono piuttosto complesse, e il risultato (la somma da versare) dipende da vari elementi tra cui il sesso, l’età e la retribuzione alla data della domanda. Le donne, per esempio, pagano più degli uomini, perché fruiscono del vantaggio (la pensione maggiorata dai periodi riscattati) qualche mese prima. In linea generale si può dire che più bassa è la retribuzione e più giovane l’età del richiedente, meno si paga.

La determinazione della riserva matematica avviene attraverso quattro operazioni:

1) calcolo della pensione annua “teorica” maturata alla data della domanda di riscatto, senza tenere conto del periodo da aggiungere;

2) calcolo della pensione annua “teorica” maturata alla data della domanda di riscatto, con l’aggiunta del periodo da riscattare;

3) calcolo dell’incremento di pensione, ossia la differenza tra la rendita con riscatto e quella senza riscatto;

4) applicazione all’incremento di pensione dei coefficienti di capitalizzazione, variabili in base alle caratteristiche (età, sesso e così via) di chi ha chiesto il riscatto. I coefficienti di capitalizzazione sono stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale (Supplemento ordinario) n. 258 del 6 novembre 2007.

 

Il costo nel sistema contributivo. Il conteggio è decisamente più facile se i periodi da riscattare, collocati dopo il 31 dicembre 1995, rientrano nel calcolo contributivo della pensione. In questi casi la spesa da sostenere non viene più determinata con il meccanismo della riserva matematica, ma applicando semplicemente alla retribuzione l’aliquota contributiva obbligatoria in vigore al momento di presentazione della domanda di riscatto.

Un dipendente, per esempio, deve sborsare, per ciascun anno da recuperare, il 33% della sua retribuzione. Facciamo un esempio. Il signor Rossi, giovane neoassunto, pensa di riscattare la laurea breve (tre anni). Il suo primo stipendio annuo è di 22mila euro. Per sapere quanto gli costa il riscatto, è sufficiente che calcoli il 33% di 22mila euro e moltiplichi il risultato per i tre anni di università: in totale deve spendere 21.780 euro. Anche in questo caso si può vedere che la spesa è tanto minore quanto prima si chiede il riscatto (ipotizzando, ovviamente, che al passare del tempo la retribuzione continui a crescere).

 

Si può pagare a rate. Una volta calcolato l’onere di riscatto, l’ente deve darne comunicazione al richiedente. Con la nota di avviso, l’ente avverte che il pagamento della somma richiesta deve avvenire entro il termine perentorio di 60 giorni. Il pagamento dell’onere di riscatto deve essere di norma effettuato in unica soluzione. Tuttavia, quando la contribuzione riscattata non debba essere immediatamente utilizzata per la liquidazione della pensione è ammesso il pagamento rateale.

Per le domande di riscatto di studi universitari presentate a partire dal primo gennaio 2008, il pagamento rateale è consentito in un numero massimo di 120 rate mensili (10 anni), senza l’aggiunta di interessi.

Il pagamento di ciascuna rata ha valore irrevocabile. In caso di mancato versamento di due rate consecutive la pratica si considera conclusa, con l’accredito limitato ai contributi relativi al periodo per la cui copertura sono sufficienti le somme già corrisposte.

 

Ma conviene riscattare? La domanda, così a bruciapelo, non consente una risposta immediata.Trattandosi di un’operazione onerosa, per la quale occorre mettere mano al portafoglio, le considerazioni da fare prima di dire sì o no sono tante.

La prima riguarda senz’altro l’obiettivo che si vuole raggiungere, ossia se il recupero degli anni di laurea deve servire per aumentare l’assegno mensile che l’Inps corrisponderà oppure per accelerare i tempi del pensionamento.

Vediamo qualche caso concreto in cui appare conveniente il riscatto della laurea:

1) 
l’operazione è utile se gli anni di laurea consentono di superare il limite di 18 anni al 31 dicembre 1995, previsto per poter avere la pensione per gran parte calcolata con il regime retributivo, invece che con quello misto. In questo caso si può beneficiare di un reale e consistente incremento della pensione;

2) 
l’operazione è utile se, grazie agli anni di studi, si arriva a raggiungere la pensione anticipata  prima del compimento dell’età pensionabile (66 anni e 7 mesi gli uomini e 65 anni e 7 mesi  le donne). Facciamo un esempio. Per riscattare quattro anni di università un cinquantacinquenne con 31mila euro di stipendio deve sborsare circa 45mila euro. Se il riscatto serve, ad esempio, per acquisire il diritto alla pensione di anzianità, cioè per raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi e lasciare il lavoro a 62 anni anziché a 66, la convenienza è evidente;

3) 
l’operazione è utile se, con l’aggiunta degli anni di università, si riesce a maturare il diritto alla pensione, per la quale è richiesto un minimo di 20 anni. Si pensi, per esempio, al caso di un soggetto con 18 anni di contribuzione che recuperando 2 anni di  laurea si assicura il diritto alla pensione di vecchiaia, che altrimenti perderebbe. Diritto che potrebbe raggiungere anche attraverso i versamenti volontari, ma in questo caso deve lasciar trascorrere il tempo (la volontaria non vale per il passato).

 

Una mano dal Fisco. Grazie alle agevolazioni fiscali, i riscatti pensionistici, in genere,  hanno riacquistato un certo interesse. Le somme versate a titolo di riscatto sono, infatti,  interamente deducibili dal reddito imponibile Irpef. In pratica, la somma pagata per il riscatto va a ridurre l’imponibile, come se si trattasse di contributi obbligatori. Un bel risparmio, che è tanto maggiore quanto più è elevato il reddito del contribuente.

Nel primo caso numerose elaborazioni hanno dimostrato che il riscatto è in genere un’operazione conveniente dal punto di vista finanziario perché, in base ai dati statistici sulla vita media, s’incassa in termini di pensione complessiva più di quanto speso. Nel secondo, il suggerimento che si può dare è quello di fare bene i conti, soprattutto adesso che per la pensione di anzianità bisogna accumulare quasi 43 anni di lavoro. Non è sempre detto che il riscatto consenta di tagliare il traguardo in anticipo. Se si è giovani, poi, bisogna tenere anche in considerazione il fatto che i requisiti pensionistici possono essere ulteriormente inaspriti, e quasi certamente lo saranno. In tutti i casi, inoltre, bisogna anche considerare se andare in pensione in anticipo, o con una rendita più elevata compensa il mancato maggior profitto derivante da un diverso impiego della somma da pagare per il riscatto, per esempio aderendo a un fondo pensione.

 

Riscatto in attesa del lavoro. Un’eccezione alla regola generale è stata decisa per i più giovani. Il riscatto degli studi universitari può essere infatti esercitato anche dai soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza che non abbiano iniziato l’attività lavorativa.

In tal caso, il contributo è versato all’Inps in un’apposita evidenza contabile, e viene rivalutato secondo le regole del sistema contributivo, con riferimento alla data della domanda.

Il montante maturato sarà successivamente trasferito, a domanda, presso la gestione previdenziale nella quale l’interessato si iscriverà.

In una simile circostanza, in assenza cioè di una retribuzione o reddito di riferimento, l’onere di riscatto è costituito dal versamento di una somma pari, per ogni anno da riscattare, al livello minimo di reddito imponibile previsto per gli iscritti alla gestione commercianti (15.548 euro nel 2017), moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti (attualmente pari al 33%).

Un esempio per semplificare. S’ipotizzi il caso di un giovane in attesa di occupazione che chiede oggi di riscattare la laurea breve (tre anni). Nel 2017 l’imponibile contributivo minimo dei commercianti è pari a 15.548 euro. Per calcolare quanto gli costa il riscatto è sufficiente applicare il 33% (aliquota contributiva dei dipendenti) a 15.548 euro e moltiplicare il risultato per i tre anni di università. In totale deve spendere 15.393 euro.

L’onere di riscatto è fiscalmente deducibile (dall’imponibile Irpef) dall’interessato, oppure, qualora questi (come è probabile) non fosse titolare di reddito, è detraibile dall’imposta dovuta dai soggetti di cui l’interessato risulti fiscalmente a carico (il papà o la mamma), nella misura del 19% dell’importo stesso.

 

Meglio muoversi d’anticipo. La richiesta di riscatto degli studi universitari non è soggetta ad alcun termine e può quindi essere presentata in qualsiasi momento. Anzi, ora è possibile presentarla anche prima di iniziare l’attività lavorativa. Il conto è tanto più salato quanto più alta è la retribuzione percepita alla data di presentazione dell’istanza. La domanda, che non comporta alcun impegno di pagamento, va corredata da un certificato rilasciato dall’università che comprovi l’avvenuto conseguimento del diploma, gli anni accademici in cui si è effettivamente svolto il corso, nonché quelli svolti come “fuori corso”.

 

La domanda. A partire dal primo aprile le domande dovranno essere presentate esclusivamente in via telematica attraverso uno dei seguenti canali:

1) Web – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite Pin attraverso il portale dell’Istituto, www.inps.it;

2) Contact center multicanale– 803.164 (riservato all’utenza che chiama da telefono fisso) o al numero 06164164 (abilitato a ricevere esclusivamente chiamate da telefoni cellulari con tariffazione a carico dell’utente);

3) patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Chi non ha dimestichezza con il computer è opportuno che si rivolga a un ente di patronato o Caf.

www.inps.it