SPECIALE CONTRIBUTI VOLONTARI
Licenziamenti, crisi di settore, ristrutturazioni, fenomeni che comportano riduzioni di personale per licenziamenti, mobilità o dimissioni incentivate. Oltre alle conseguenze di natura economica, si tratta di situazioni che incidono anche sul piano previdenziale. In assenza di un lavoro, il traguardo della pensione può allontanarsi nel tempo o essere addirittura compromesso. Su questo argomento c’è, da sempre, una ciambella di salvataggio che consente al lavoratore (dipendente o autonomo) di proseguire a proprie spese i versamenti per la pensione, tramite la cosiddetta “prosecuzione volontaria”. Si tratta di una forma di polizza assicurativa che consente a chi per varie cause interrompe il versamento dei contributi, di non perdere quelli già versati e di raggiungere il diritto alla pensione.
Per questi motivi è sempre consigliabile, ove ne ricorrano requisiti, chiedere l’autorizzazione a versare i contributi volontari (vedi anche la news relativa alla scadenza del 30 giugno, www.iomiassicuro.it/news/contributi-volontari-inps-il-versamento-entro-il-30-giugno). Anche perché la richiesta di autorizzazione non implica alcun obbligo a versare ontribuzione. Mentre spesso, nel passato, la sola autorizzazione ai versamenti volontari, nel caso di riforme del sistema previdenziale, ha permesso di conservare alcuni diritti acquisiti.
I contributi volontari hanno lo scopo di consentire all’ex lavoratore che interrompe o cessa il rapporto, di conservare i diritti derivanti dall’assicurazione previdenziale obbligatoria. L’intento, insomma, è quello di permettere a chi ha smesso di lavorare di conseguire comunque una pensione. Così come avviene per i riscatti, anche i contributi volontari sono deducibili interamente dal reddito.
Cosa fare quando si lascia il lavoro. Per poter proseguire l’assicurazione volontariamente occorre una specifica autorizzazione che dev’essere espressamente richiesta all’Inps (gli uffici dell’ente mettono a disposizione i moduli necessari per la domanda). La volontaria interessa anche gli altri fondi di previdenza, compresi quelli dei dipendenti pubblici, che in passato ne erano esclusi. L’autorizzazione viene concessa in presenza di un versamento pari ad almeno tre anni di contributi obbligatori effettivi nel quinquennio precedente la domanda. Chi non ha almeno tre anni nei cinque che precedono la richiesta di autorizzazione può comunque essere ammesso alla prosecuzione volontaria, a condizione però che abbia maturato un minimo di cinque anni di contributi, versati in qualsiasi epoca.
All’atto dell’accoglimento della domanda di autorizzazione, l’Inps, mediante lettera, comunica all’interessato:
1) la decorrenza dell’autorizzazione stessa che coincide con il primo sabato successivo a quello in cui è stata inoltrata la domanda (dal primo giorno del mese della domanda per gli artigiani e commercianti);
2) l’importo da versare;
3) tutte le istruzioni necessarie per effettuare i versamenti.
La contribuzione volontaria non può riguardare periodi temporali pregressi, ad eccezione del semestre precedente la data di autorizzazione.
Quanto costa la contribuzione volontaria. Per i dipendenti l’importo da versare viene stabilito in base alla retribuzione percepita nell’ultimo anno di lavoro che precede la domanda di autorizzazione. L’aliquota è la stessa prevista per la contribuzione obbligatoria. Questo significa che chi decide di versare i volontari dovrà pagare in pratica gli stessi soldi che avrebbe versato l’azienda se avesse continuato a lavorare con uno stipendio pari alla media dell’ultimo anno. Per avere un’idea della spesa da sostenere per i contributi volontari è sufficiente fare la media delle retribuzioni (complessive, compresa cioè la tredicesima mensilità) dell’ultimo anno di lavoro e applicare l’aliquota in vigore (che per i dipendenti è pari al 33%).
Quando la retribuzione di riferimento supera la prima fascia pensionabile (46.630 nel 2018), l’aliquota sale al 34%. E’ previsto il versamento di un contributo minimo, pari al risultato che si ottiene applicando l’aliquota obbligatoria (33%) al 40% del trattamento minimo di pensione Inps (202,97 euro, il 40% di 507,42 euro). Questo vuol dire, per esempio, che per l’anno 2018 il contributo minimo settimanale è di 67 euro. La spesa minima annuale è, quindi, di 3.483 euro.
Lavoratori autonomi. L’importo dei contributi volontari per artigiani e commercianti è determinato dall’Inps in base alla media del reddito d’impresa dichiarato ai fini Irpef negli ultimi 36 mesi di contribuzione (gli ultimi 3 anni). I contributi dovuti sono su base mensile e sono divisi in 8 diverse fasce di reddito. Come per gli ex dipendenti, anche in questo caso è previsto il versamento di un contributo minimo, pari al risultato che si ottiene applicando l’aliquota obbligatoria (24% gli artigiani e 24,09% i commercianti) al 40% del trattamento minimo di pensione Inps (202,97 euro, il 40% di 507,42 euro). Per il 2018 il contributo minimo mensile è di 315 euro per gli artigiani e di 316 per i commercianti.
Artigiani e commercianti
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Classi di reddito |
Importo mensile |
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Artigiani |
Commercianti |
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Fino a € 15.710 |
314,20 |
315,38 |
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da € 15.711 a € 20.863 |
365,74 |
367,11 |
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da € 20.864 a € 26.016 |
468,80 |
470,56 |
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da € 26.017 a € 31.169 |
571,86 |
574,00 |
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da € 31.170 a € 36.322 |
674,92 |
677,45 |
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da € 36.323 a € 41.475 |
777,98 |
780,90 |
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da € 41.476 a € 46.629 |
881,06 |
884,36 |
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da € 46.630 |
932,60 |
936,10 |
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Per coltivatori diretti, mezzadri e coloni i contributi sono settimanali e l’importo da versare è determinato dall’Inps in base alla media settimanale dei redditi degli ultimi 3 anni (ossia delle ultime 156 settimane) di lavoro. Non può essere inferiore a quello previsto per i lavoratori dipendenti.
Co.co.co. e free-lance. Per loro, l'importo del contributo volontario si ottiene applicando l'aliquota di finanziamento della Gestione separata, al reddito assoggettato a contribuzione negli ultimi dodici mesi precedenti la domanda. L’aliquota (33% per i Co.co.co e 25% per i titolari di partita Iva) va applicata al netto delle maggiorazioni destinate alla copertura di prestazioni aggiuntive (assegni familiari, indennità di malattia, indennità di disoccupazione ecc.).
Poiché il minimale per l’accredito contributivo nel 2018 è fissato in 15.710 euro, l’importo minimo dovuto dai prosecutori volontari della Gestione separata non può essere inferiore a 3.927,50 euro su base annua (327,30 euro su base mensile) per quanto concerne i professionisti titolari di partita Iva (i free-lance), e a 5.184,30 euro (432,03 su base mensile) per quanto concerne tutti gli altri iscritti. Versamenti di entità inferiore determinano la “contrazione” (proporzionale) del periodo coperto nell’arco dell’anno.
Una mano dal Fisco. Le somme versate a titolo di versamenti volontari, alla stregua di quelle pagate per Il riscatto della laurea, per esempio, o per la ricongiunzione, sono interamente deducibili dal reddito imponibile Irpef. In pratica, la somma pagata all’Inps va a ridurre l’imponibile, come se si trattasse di contributi obbligatori. Un bel risparmio, che è tanto maggiore quanto più è elevato il reddito del contribuente.
Il valore della volontaria. I contributi volontari si collocano temporalmente in corrispondenza dei sabati immediatamente precedenti la data di scadenza del periodo di versamento e sono parificati, a tutti gli effetti, a quelli obbligatori, versati in conseguenza del rapporto di lavoro. Questo vale anche per la pensione anticipata.
La contribuzione volontaria s’intende regolarmente eseguita solo se l’importo dei contributi dovuti per ciascun trimestre viene interamente versato durante il trimestre solare successivo. Nell’ipotesi di una contribuzione volontaria versata in misura inferiore a quella dovuta, il periodo da accreditare viene ridotto, ai fini sia della misura sia del diritto alla pensione. In tal caso si divide la somma ridotta pagata per l’importo del contributo settimanale che il prosecutore volontario avrebbe dovuto versare e si considera coperto un numero di settimane pari al quoziente così ricavato.
Facciamo un esempio. Una signora autorizzata ai versamenti volontari in base a una retribuzione di riferimento pari a 25mila euro, per coprire il primo trimestre 2018 (13 sabati), entro il 30 giugno deve versare 2.062 euro (159 euro per 13). Se dovesse eseguire un versamento di soli 1.550 euro, si vedrebbe ridurre il periodo coperto a 10 settimane. Se l’ex dipendente si comporta allo stesso modo per l’intero anno 2018, anziché 52 settimane contributive riuscirebbe a coprire solo 40 settimane, poco più di nove mesi.
Il calendario. Il versamento deve essere effettuato entro le scadenze stabilite dalla legge. I contributi pagati in ritardo non possono essere accreditati e vengono automaticamente respinti dagli uffici. In alternativa alla restituzione l’assicurato può però chiedere che la somma sia utilizzata per coprire il trimestre successivo. Per esempio, se il versamento viene fatto entro il 2 ottobre invece del 30 settembre, si può chiedere all’Inps di considerarli utili per coprire il terzo trimestre dell’anno, mentre il secondo rimane comunque scoperto.
Come si paga. Come detto, i contributi volontari vanno pagati per periodi trimestrali solari (entro la fine del trimestre successivo): il numero delle settimane è quello corrispondente ai sabati compresi nel periodo. Per coprire il primo trimestre (gennaio-marzo) occorre effettuare il versamento entro il successivo 30 giugno; il secondo trimestre (aprile-giugno) va versato entro il 30 settembre, e così via. Il pagamento può avvenire in quattro modi diversi:
1) utilizzando il bollettino Mav: pagamento mediante avviso, senza commissioni aggiuntive se pagato presso una qualunque banca.
2) on line, sul sito Internet www.inps.it nella sezione Servizi on line – Per tipologia di utente – Cittadino – Pagamento contributi versamenti volontari, utilizzando la carta di credito per perfezionare il pagamento;
3) telefonando al numero verde gratuito 803164, utilizzando la carta di credito;
4) attraverso il Rapporto interbancario diretto (Rid) con cui l’interessato richiede l’addebito sul conto corrente, attivabile compilando l’apposito modulo fornito dall’Istituto al momento dell’autorizzazione al versamento, e lo presenta all’istituto di credito presso il quale è acceso il conto corrente.
Qualunque sia la modalità prescelta, il sistema di pagamento prevede che, inserendo il codice fiscale e il codice prosecutore, la procedura informatica dell’ente proponga l’importo complessivo calcolato in base ai dati relativi all’autorizzazione rilasciata. È sempre possibile provvedere alla copertura contributiva per periodi inferiori al trimestre, modificando di conseguenza l’importo: dichiarando all’operatore i dati da sostituire, se il pagamento avviene tramite telefonoo utilizzando la procedura a disposizione sul sito Internet per pagamenti on line o per generare un nuovo Mav stampabile.
La contribuzione volontaria in pillole
Chi può chiederla |
Tutti gli iscritti a forme di previdenza obbligatoria con determinati requisiti (compresi i “parasubordinati” e chi effettua prestazioni occasionali di tipo accessorio) |
Autorizzazione |
3 anni di contributi effettivi (un anno i “parasubordinati) nei 5 precedenti la domanda oppure 5 anni di contributi effettivi in qualsiasi epoca versati |
Decorrenza |
Dal sabato successivo a quello della domanda (dal mese della richiesta per autonomi e “parasubordinati”), oppure da 6 mesi precedenti la domanda |
Misura del contributo |
Aliquota contributiva obbligatoria (33% ex dipendenti e 24% ex autonomi) applicata sulla retribuzione o reddito |
Importo minimo da versare nel 2018 per coprire un anno di contribuzione utile a pensione |
Ex dipendenti: 3.483 euro Ex domestici: 1.840 euro Ex artigiani: 3.783 euro Ex commercianti: 3.785 euro |
Ma è utile la volontaria? Gli importi dei contributi volontari da versare nelle casse degli enti di previdenza, da parte di chi si è ritirato dal lavoro prima del tempo, aumentano con lo stesso ritmo del costo della vita. Si tratta di un argomento che interessa circa due milioni di ex lavoratori, soprattutto donne, che hanno scelto di continuare l’assicurazione pagando in proprio, con lo scopo di maturare comunque il diritto alla pensione.
Fino a una ventina di anni fa la contribuzione volontaria era un vero e proprio affare: con la stessa spesa sostenuta per l’abbonamento a una rivista si copriva un anno di contributi.
Ora non è più così: la spesa minima sfiora infatti i 291 euro al mese. Ma allora è conveniente continuare a versare contributi volontari? È una domanda cui non si può dare una risposta valida per tutti. Dipende da molti variabili, alcuni dei quali di ordine strettamente personale, come la disponibilità finanziaria, l’epoca dell’andata in pensione e così via.
Uno scudo perforato. In occasione delle precedenti riforme pensionistiche la possibilità di versare volontariamente ha sempre costituito una vera e propria polizza assicurativa. A cominciare dall’elevazione del minimo di contributi richiesto per la pensione di vecchiaia, innalzato da 15 a 20 anni dalla riforma Amato del 1993, dove è prevista la conservazione dei “vecchi” 15 anni in favore dei soggetti autorizzati entro il dicembre 1992.
Per non parlare dei famosi “blocchi” temporanei delle pensioni di anzianità, avvenuti più volte tra il 1994 e il 1998, che in questi casi non hanno trovato applicazione. Ora la musica è cambiata. Solo un ristretto numero di contribuenti volontari è infatti rientrato nella schiera dei cosiddetti “salvaguardati” dall’inasprimento dei requisiti pensionistici della riforma Fornero. Ciò non toglie che la richiesta di autorizzazione alla volontaria, alla cessazione o sospensione dell’attività lavorativa, sia inutile. Non costa nulla, non scade mai e non è impegnativa.
Quando conviene. Se mancano soltanto brevi periodi per raggiungere il minimo dei contributi utili per la pensione, la prosecuzione volontaria è sicuramente conveniente. Basta fare quattro conti; chi versa il contributo minimo e paga per tutto l’anno 3.483 euro, se non ha altri redditi, potrà contare su una rendita minima, che oggi raggiunge i 6.597 euro. Questo significa che con un solo anno di pensione si recuperano quasi due anni di contributi volontari. Ogni sforzo in questo senso. Quindi, è economicamente produttivo.
Lo stesso vale per chi intende maturare la pensione anticipata, che ora viene corrisposta in presenza di più di 42 anni di contribuzione. È certamente conveniente versare quando la volontaria permette di raggiungere l’anzianità prima del compimento dell’età pensionabile (66 anni e 7 mesi) e 67 anni nel 2019-2020.
Facciamo un esempio per capirci meglio. Prendiamo il caso di un tecnico specializzato di 60 anni, con 40 di contribuzione alle spalle, cui oggi viene offerta la possibilità di lasciare il posto per dedicarsi a una attività imprenditoriale molto più redditizia. Con uno stipendio medio di 30.000 euro dovrebbe versare (per i tre anni mancanti) complessivamente all’incirca 29.800 euro (deducibili dall’imponibile Irpef). Se consideriamo che una volta raggiunti i 43 anni di contributi, potrà incassare circa 18mila euro al netto dell’Irpef (grosso modo 1.380 euro al mese) di pensione anticipata, potremmo constatare che praticamente in un solo anno (considerato anche il beneficio fiscale) recupererebbe la spesa dei contributi volontari. Non solo, ma per due anni godrebbe di una rendita che senza la volontaria avrebbe ottenuto solo qualche mese prima dei 67 anni.
Quando non conviene. La questione circa l’utilità dei contributi volontari comincia a sorgere in altri casi. Non è infatti conveniente continuare a versare quando si sono già raggiunti i requisiti per la pensione di vecchiaia (20 anni o 15 anni se collocati ante 1993). La dinamica della cosiddetta perequazione automatica (la scala mobile delle pensioni) il più delle volte fa sì che, pur proseguendo con i versamenti, si finisce con il percepire comunque una rendita di modesta entità.
Danneggiati i parasubordinati. I professionisti tenuti al pagamento del famoso contributo, che nel 2018 è pari al 25% dei compensi ricevuti, non possono effettuare versamenti volontari presso altre gestioni di previdenza obbligatoria. Nei loro confronti infatti si applica la regola generale sull’incompatibilità stabilita dalla legge (n. 47/83). E’ una norma penalizzante. Non sembra infatti giusto che a chi manca solo qualche anno per poter raggiungere il diritto alla pensione “retributiva” venga negata la possibilità di realizzare l’obiettivo.
Facciamo anche qui un esempio. Poniamo che un quadro o un dirigente di 60 anni, con 40 di contributi e una discreta retribuzione, perda il posto di lavoro e si adatti a dare qualche consulenza, i cui proventi sono assoggettati al 25%. Non potendo contemporaneamente versare contributi volontari per maturare i 43 anni, per ottenere la pensione (che potrebbe avere dopo 3 anni, con l’anzianità), dovrà attendere i 67 anni per la pensione di vecchiaia.
Leonardo Comegna