SPECIALE IL LAVORO ALL'ESTERO E LA PENSIONE
Fuga di cervelli ma, sempre più spesso, anche di pensionati. Sono molti a chiedersi che fine farà la propria pensione se si va a lavorare all’estero. Oltre ai paesi dell’Unione europea, l’Italia ha stipulato numerosi accordi in materia di sicurezza sociale con altre nazioni che hanno visto un sensibile flusso migratorio di nostri connazionali. Ecco una panoramica delle regole che in questa materia si applicano in alcuni dei principali paesi europei.
Attività frazionata. Facciamo un esempio. In Italia per aver diritto alla pensione occorrono almeno 20 anni di contributi, così come in Francia. Poniamo il caso di un lavoratore che abbia lavorato 13 anni a Milano e 7 a Parigi. Senza un accordo tra le due nazioni, il nostro lavoratore non avrebbe diritto ad alcuna pensione. Grazie alla convenzione, invece, avrà la possibilità di cumulare idue periodi (quello italiano e quello francese) ai fini del diritto alla pensione. In questo modo sia l’Italia che la Francia riconoscono l’altra contribuzione, pur conservando la propria autonomia legislativa in materia. In altre parole, l’ente di previdenza italiano liquida una pensione sulla base di 13 anni (il diritto è determinato dal cumulo di 13 più 7) e l’organismo estero paga la prestazionesulla base di 7 anni (il diritto è determinato dal cumulo di 7 più 13), all’età e alle condizioni richieste in Francia.
Chi è tutelato e chi no. Nella tabella sono indicati i paesi con cui l’Italia ha stipulato una convenzione previdenziale. Chi ha lavorato in queste nazioni beneficia della totalizzazione ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione.
Paesi dell’Unione Europea |
Principato di Monaco |
Argentina |
Norvegia |
Australia |
San Marino |
Brasile |
Svizzera |
Canada |
Tunisia |
Capoverde |
Uruguay |
Jersey |
Usa |
Ex-Jugoslavia |
Vaticano |
Lichtenstein |
Venezuela |
Turchia |
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Paesi non convenzionati. La copertura assicurativa per l’attività svolta all’estero crea qualche problema in più se si è lavorato in un paese non convenzionato (in quelli arabi, per esempio, che ora vanno così di moda). In questi casi per recuperare i periodi in termini previdenziali non si può fare altro che ricorrere al riscatto (cioè pagando di tasca propria). L’unica condizione richiesta è il possesso della cittadinanza italiana alla data della domanda. La richiesta, non soggetta a termini di decadenza, dev’essere corredata di documentazione oggettivamente idonea a provare l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro (la prova dell’importo delle retribuzioni percepite non è essenziale). A questo proposito possono essere utilizzati i documenti originali di lavoro (eventuale contratto di ingaggio, lettera di assunzione, buste paga e così via), avvalorati dalle dichiarazioni di autorità consolari italiane o di pubbliche amministrazioni straniere che controllano l’immigrazione.
Quanto costa il riscatto. Il costo del riscatto varia a seconda del regime previdenziale in cui si è inquadrati. Tutto nasce dalle modifiche intervenute nel calcolo della pensione con la riforma del 1995 (legge Dini, n. 335/95). Molto sinteticamente, le attuali regole prevedono l’applicazione del tradizionale criterio di calcolo “retributivo” a favore di coloro che potevano vantare almeno 18 anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995 (il calcolo retributivo, riguarda ora solo l’anzianità acquisita sino al 31 dicembre 2011). Chi non aveva alcuna anzianità assicurativa al 31 dicembre 1995 (i neoassunti, per intenderci) rientra, invece, nel regime contributivo. Mentre il cosiddetto criterio “misto” (retributivo per i periodi sino al 1995 e contributivo per i successivi) si applica a coloro che, sempre al 31 dicembre 1995, potevano contare su una posizione assicurativa inferiore a 18 anni. Di conseguenza, per determinare l’anzianità contributiva complessiva e, quindi, il diverso meccanismo per calcolare il costo del riscatto, bisogna considerare dove si collocano i periodi da recuperare. Ecco tre esempi pratici che riepilogano tutti i casi che si possono presentare e che interessano, sostanzialmente, coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 e chi ricade nel sistema misto.
1) Lavoratore assunto dal primo gennaio 1996 che riscatta un periodo collocato temporalmente in data anteriore al 31 dicembre 1995. In questo caso per il calcolo del costo del riscatto si applica il criterio retributivo. Mentre la pensione verrà calcolata con il sistema misto: retributivo per gli anni riscattati perché si collocano in data anteriore al primo gennaio 1996, contributivo per l’anzianità maturata con l’effettiva attività lavorativa.
2) Lavoratore assunto dopo il 31 dicembre 1995 che riscatta un periodo collocato temporalmente in parte prima e in parte dopo il primo gennaio 1996. La collocazione temporale del lavoro all’estero comporta un doppio calcolo: l’onere di riscatto va valutato in parte con il sistema retributivo (primo novembre 1993 - 31 dicembre 1995) e in parte con quello contributivo (primo gennaio 1996 - 31 ottobre 1997).
3) Lavoratore assunto dopo il 31 dicembre 1995 che riscatta un periodo collocato temporalmente dopo il primo gennaio 1996. L’onere del riscatto, come la pensione, viene calcolato interamente con il sistema contributivo.
Il costo nel sistema retributivo. L’onere da sostenere, con il sistema retributivo, consiste nel versamento di una somma, definita tecnicamente riserva matematica. Questa somma serve all’Inps per coprire l’incremento di pensione che scaturisce dal riscatto. Si tratta, in altri termini, della quantità di capitale necessaria al fondo previdenziale per costituire una riserva tale da coprire il maggior onere finanziario derivante (in futuro) dall’aggiunta, nel calcolo della pensione, degli anni riscattati a quelli coperti da contribuzione obbligatoria.
Le modalità di conteggio della riserva matematica sono piuttosto complesse, e il risultato (la somma da versare) dipende da vari elementi tra cui il sesso, l’età e la retribuzione alla data della domanda. Le donne, per esempio, pagano più degli uomini, perché fruiscono del vantaggio (la pensione maggiorata dai periodi riscattati) alcuni anni prima. In linea generale, si può dire che più bassa è la retribuzione e più giovane l’età del richiedente, meno si paga.
La determinazione della riserva matematica avviene attraverso quattro operazioni:
1) calcolo della pensione annua “teorica” maturata alla data della domanda di riscatto, senza tenere conto del periodo da aggiungere;
2) calcolo della pensione annua “teorica” maturata alla data della domanda di riscatto, con l’aggiunta del periodo da riscattare;
3) calcolo dell’incremento di pensione, ossia la differenza tra la rendita con riscatto e quella senza riscatto;
4) applicazione all’incremento di pensione (in pratica il punto 3 meno il punto 2) dei coefficienti di capitalizzazione, variabili in base alle caratteristiche (età, sesso e così via) di chi ha chiesto il riscatto. I coefficienti di capitalizzazione sono stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale (Supplemento ordinario) n. 258 del 6 novembre 2007.
Il costo nel sistema contributivo. Il conteggio è decisamente più facile se i periodi da riscattare sono collocati dopo il 31 dicembre 1995 e rientrano nel calcolo contributivo della pensione. In questi casi, la spesa da sostenere non viene più determinata con il meccanismo della riserva matematica, ma applicando semplicemente alla retribuzione l’aliquota contributiva obbligatoria in vigore al momento di presentazione della domanda di riscatto. Un dipendente, per esempio, deve sborsare, per ciascun anno da recuperare, il 33% della sua retribuzione. Facciamo un esempio. Il signor Rossi, giovane neoassunto, pensa di riscattare i due anni di lavoro a Dubai. Il suo primo stipendio annuo è di 22.000 euro. Per sapere quanto gli costa il riscatto è sufficiente che calcoli il 33% di 22.000 emoltiplichi il risultato per due. In totale deve spendere 14.520 euro. Anche in questo caso si può vedere che la spesa è tanto minore quanto prima si chiede il riscatto (ipotizzando, ovviamente, che al passare del tempo la retribuzione continui a crescere).
Si può pagare a rate. Una volta calcolato l’onere di riscatto, l’ente deve darne comunicazione al richiedente. Con la nota di avviso, l’ente avverte che il pagamento della somma richiesta deve avvenire entro il termine perentorio di 60 giorni. Di norma il pagamento dell’onere di riscatto dev’essereeffettuato in unica soluzione. Tuttavia, quando la contribuzione recuperata non debba essere immediatamente utilizzata per la liquidazione della pensione, è ammesso il pagamento rateale. In tal caso la somma dovuta, dev’essere corrisposta in un massimo di 60 rate mensili (5 anni), diuguale entità e importo non inferiore a 26 euro, con maggiorazione di interessi al tasso legale annuo composto (pari allo 0,1% dal primo gennaio 2017).