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PENSIONI 2025, PIÙ DIFFICILE ANTICIPARE L’ASSEGNO INPS

I cambiamenti previsti in materia di pensioni nel 2025 comportano decisi ritardi rispetto a quanto ci si atttendeva. Soprattutto nel determinare le penalizzazioni previste per chi vuole per lasciare il posto di lavoro.

Per il resto, come avevamo già anticipato, saranno prorogati per tutto il 2025, con alcune modifiche, gli strumenti di anticipo pensionistico già esistenti: Quota 103, Ape sociale e Opzione Donna. Sarà inoltre confermato il Bonus Maroni, incentivo che prevede una decontribuzione di circa il 10% per chi, pur avendo i requisiti per ritirarsi dal lavoro, decide di rimandare.

Proviamo dunque a tracciare una mappa dei nuovi meccanismi considerando le classi di età dei potenziali pensionandi. Si tratta, ovviamente, di sole previsioni, in attesa del varo definitivo della manovra economica 2025 previsto tra Natale e Capodanno.

 

Quota 103. Come detto, sarà confermata Quota 103, somma di 62 anni di età e 41 di contributi. Potranno lasciare il lavoro anche i nati nel 1963, a condizione che siano in grado di far valere anche 41 anni di attività.

 

Le finestre. I lavoratori che hanno maturato la pensione rischiano però di dover attendere di fatto il 2026. per via delle ormai famose “finestre mobili”, il tempo che intercorre tra la data di maturazione dei requisiti e quello dell’effettivo pagamento del primo assegno Inps.

Sì, poiché le nuove finestre, introdotte lo scorso anno, fanno slittare il pensionamento in avanti di sette mesi, che diventano nove per i dipendenti pubblici.

 

L’Ape sociale. Con il 2025 dovrebbero entrare nell’area di accesso all’Ape sociale i nati nel 1962, ma non tutti potranno utilizzare questo strumento.

Con l'aumento del requisito dell’età da 63 a 63 anni e 5 mesi, potranno effettivamente chiedere l’Ape sociale i lavoratori classe 1962 che compiono gli anni fino a luglio. Mentre i nati nei mesi successivi potranno conquistare l’assegno solo dal 2026.

Con le nuove regole varato lo scorso anno dovrebbero essere esclusi dal canale di uscita anche gli appartenenti alle 23 ulteriori categorie di lavoratori che svolgono attività gravose inserite tre anni fa: tra questi, gli insegnanti di scuola primaria, i tecnici della salute e le estetiste.

 

Occhio alle donne. Anche nel 2025 la forma agevolata di pensionamento non sarà più libera, come in passato. Il diritto al trattamento pensionistico anticipato si applica, infatti, nei confronti delle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2024 hanno maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un'età anagrafica di 61, ridotta di un anno per ogni figlio nel limite massimo di due anni, e che:

a) svolgono assistenza da almeno sei mesi al momento della richiesta di prepensionamento al coniuge, a un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità (articolo 3, comma 3, della legge 104/1992) oppure a un parente o un affine di secondo grado convivente, Sempre a condizione che i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 70 anni d'età, siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;

b) soffrono una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, almeno pari al 74%;

c) sono lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale. In questo caso, l’agevolazione si applica a prescindere dal numero dei figli.

In breve, le donne possono ottenere la pensione se raggiungono almeno 35 anni di contributi entro il 2024 purché abbiano:

– 61 anni di età senza figli;
– 60 anni con un figlio;
– 59 anni con più figli.

Il pensionamento anticipato attraverso Opzione donna richiede l'applicazione del meno vantaggioso calcolo contributivo dell'intero assegno Inps. Vale a dire che il vantaggio dell'uscita anticipata si traduce in molti casi in un taglio della misura della pensione. Decurtazione direttamente proporzionale all’anticipo. In media, la sforbiciata arriva al 25%-30% della pensione calcolata con il criterio retributivo o misto.

 

I precoci. Quello dei “precoci” – quelli che hanno iniziato a lavorare per almeno 12 mesi prima dei 19 anni - rappresenta il solo canale d’uscita che verrà confermato in tutte le sue caratteristiche. Sempre che rientrino nelle categorie dell’Ape sociale.
 

Brutte notizie per i giovani. E veniamo alle pensioni dei giovani, quelli cioè che hanno iniziato lavorare dopo il 31 dicembre 1995. Secondo le previsioni dell’Istat, l’età di pensionamento in Italia è destinata a crescere nei prossimi decenni, in linea con l’aumento dell’aspettativa di vita. Attualmente è fissata a 67 anni, ma questa soglia subirà un progressivo incremento che porterà l’età pensionabile a 67 anni e 3 mesi già nel 2027, fino a raggiungere i 69 anni e 6 mesi nel 2051.

Il meccanismo di adeguamento basato sulla speranza di vita ha l’obiettivo di contenere i costi crescenti del sistema previdenziale. Il momento in cui si può accedere alla pensione viene gradualmente ritardato in base alle analisi condotte dall’Istat, che valutano l’aspettativa di vita delle generazioni successive. Ciò comporta la modifica dei requisiti anagrafici per l’accesso a tutti i tipi di pensione, con l’obiettivo di mantenere il sistema previdenziale sostenibile nel lungo periodo.

La previsione dell’aumento dell’età pensionabile si basa sulle prospettive della speranza di vita. Secondo lo scenario “mediano”, ha precisato Francesco Maria Chelli, presidente dell'Istat, nel 2029 l’età di pensionamento salirà a 67 anni e 6 mesi, e successivamente a 67 anni e 9 mesi dal 2031. Questo graduale innalzamento continuerà fino al 2051, quando sarà di 69 anni e 6 mesi.

Le stime fornite da Chelli evidenziano l’influenza dei cambiamenti demografici sull’equilibrio tra generazioni. Entro il 2050, la percentuale di persone over 65 potrebbe crescere in modo significativo, rappresentando il 34,5% della popolazione, rispetto al 24,4% registrato nel 2023. Questi dati, ha spiegato Chelli, sono il risultato di una combinazione di fattori come la riduzione della natalità, l’aumento della speranza di vita e le dinamiche migratorie.

La crescita dell’età pensionabile avrà un impatto significativo sulle politiche di welfare, che dovranno essere adattate per affrontare le esigenze di una popolazione sempre più anziana e longeva. Secondo Chelli, il sistema di protezione sociale dovrà gestire un numero crescente di anziani, con conseguente aumento dei fabbisogni assistenziali e previdenziali.

Il presidente dell’Istat ha sottolineato che, nonostante la situazione demografica attuale, non ci sono segnali di inversione di tendenza rispetto al passato. I primi sette mesi del 2024, infatti, confermano l’accelerazione di questo processo, rafforzando la necessità di un adattamento tempestivo delle politiche sociali e previdenziali.

Uno dei principali problemi evidenziati riguarda lo squilibrio tra le nuove e vecchie generazioni. Chelli ha indicato che questa situazione è legata più alla struttura attuale della popolazione che a eventuali cambiamenti demografici futuri. Attualmente, due terzi della popolazione appartiene alle fasce più giovani, mentre un terzo è costituito da anziani. Questo rapporto, però, è destinato a cambiare con il progressivo invecchiamento della popolazione.